Sahara: La mia esperienza nel Deserto

Il Sahara è il deserto più esteso del pianeta e, se siete alla ricerca delle esperienze meno turistiche da fare in Tunisia, non posso che consigliarvi di avventurarvi in questa immensa distesa di sabbia.

Poche ore di sonno, fuori è ancora buio, mi abbandono a quello stato di coma che precede il caffè. Siamo a Douz, un villaggio suggestivamente desertico, a ridosso del Sahara, tra dune di sabbia bianca e immensi palmeti da datteri. Un’atmosfera magica in quella che è la più antica oasi della Tunisia e una costellazione di tende, rifugio per i M’razig, il popolo beduino di allevatori nomadi. Quando il sole comincia a fare capolino siamo già alla Porta del Deserto, quella “patria del Vento e delle Stelle” di cui tanto ho letto e che finalmente si materializza davanti ai miei occhi.

Valicare il confine tra città e deserto è stata un’emozione indimenticabile, un solo gesto che incarna tutto il senso del “mestiere” dei viaggiatori. Siamo così, attraversatori di micromondi, sempre incerti su dove finisca un territorio e inizi l’altro, su dove finisca lo spazio esteriore e inizi quello interiore, su dove finisca la nostra mano e inizi quella del nostro compagno.

In giro non ci sono ancora turisti, solo dromedari e persone che cercano di venderti un tour sulla loro gobba. Decido di prendere confidenza con quella distesa di sabbia così, facendo un giro che, come immaginavo, mi lascia dentro quel senso di “incompiuto”. Va bene l’esperienza caratteristica, va bene vedere l’alba dalla groppa di un dromedario, va bene la foto di rito, ma non era questo quello che volevo vivere. Torno indietro e rifiuto il giro in quad, adesso si va a piedi

 

Camminare nel deserto non è un’esperienza facile, né a livello fisico né mentale. Il piede affonda sulla sabbia e, anche se si è da poco fatto giorno, il sole picchia forte. All’inizio ero semplicemente rapita dal suo fascino e andavo avanti con l’idea di esplorarlo. Invece è solo un’illusione: l’occhio spazia in quell’infinito di sabbia ma in realtà è lui che sta esplorando te.

A quel punto siamo soli. Gli altri compagni di viaggio sono scomparsi. Sembra quasi che ogni granello di sabbia mi stia avvolgendo e tenendo con sé, mentre il leggero venticello che soffia disegna nuove architetture mobili. La sabbia nel Sahara è così fine che con il vento sembra acqua che scorre, che respira e si plasma fluidamente quasi a voler dare forma a un disegno già stabilito di cui non sei a conoscenza. Non esistono punti di riferimento, le dune giocano a spostarsi, l’assenza di suoni si fa musica e la cadenzata ripetitività degli attimi fa girare la testa.


«Il deserto chiama ed è impossibile voltargli le spalle». Non ricordo dove ho letto questa frase ma mi è sempre rimasta in mente, pur non avendola mai compresa fino in fondo prima di quel giorno. La monotonia del paesaggio, la luce accecante che ti circonda e gli orizzonti calmi che ondeggiano all’infinito ti fanno venire voglia di andare avanti, di continuare a battere con i tuoi piedi e la tua mente quella distesa sconfinata. E più cammini, più senti l’attrazione di andare avanti. Hai la percezione di trovarti molto vicino a qualcosa che va al di là dell’esperienza comune, è un “oltre” che difficilmente si riesce a spiegare a parole. I sensi sono iperreattivi: hai l’impressione di poter vedere tutto, di ascoltare ogni singolo battito del tuo cuore nell’eco del silenzio. E ti senti pieno.

Sono riuscita a parlare solo dopo diverse ore. Non riuscivo e non riesco ancora oggi a spiegare bene ciò che ho provato, cosa quest’esperienza mi abbia insegnato. Ma sono certa di aver vissuto qualcosa di profondo e autentico che, com’è giusto che sia, mi ha un po’ cambiata.

 

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